“Respect! L’importanza dei linguaggi e dei comportamenti nel contrasto alla violenza di genere”.

Commento di Graziella Lupo Pendinelli dell’ASSOCIAZIONE


Ho partecipato al momento di approfondimento proposto da FP CGIL trasmesso in diretta sul social Facebook dal titolo “Respect! L’importanza dei linguaggi e dei comportamenti nel contrasto alla violenza di genere”.
Ho partecipato dal di dentro della CGIL, nella sala mediateca di CGIL Lecce, insieme con la segretaria generale FP CGIL Lecce che aveva diffuso l’informazione e promosso la partecipazione.
Ho partecipato con un’attenzione nuda per postura professionale e personale e per l’impegno che, insieme con FP CGIL Lecce, con SILP CGIL Lecce e con altri partner, mi vede in un percorso che si propone di mettere al centro “l’importanza dei linguaggi e dei comportamenti nel contrasto alla violenza di genere” dal nome Io dentro Io Fuori, quest’anno alla sua 4 edizione.
Il percorso Io dentro Io Fuori si avvale degli strumenti della filosofia attraverso esperienze e situazioni laboratoriali nelle forme delle pratiche filosofiche, si rivolge alla Organizzazione sindacale, si esprime nei posti di lavoro e nelle scuole.
Ieri sera abbiamo partecipato in 5, 4 donne e un uomo. Non abbiamo avuto possibilità di fermarci a riflettere insieme e ci siamo aggiornate a martedì prossimo, più numerose.
Da qui mi permetto di condividere alcuni pensieri anche nella forma della gratitudine, talvolta del dubbio.

Il contributo portato da Eleonora Pinzuti è stato denso e nitido e per ogni passaggio apriva un domandare allertato su come le “teorie” potessero divenire materia incarnata, processi concreti nelle pratiche sindacali. E fuori.
Riporto con vertigine una frase di Pinzuti che presumo di aver riportato fedelmente sui miei appunti: “Tenere conto di come le soggettività (minoritarie) vogliono essere rappresentate”. Si rivela come un manifesto sovversivo di modalità relazionali (sindacali, professionali, istituzionali, amicali, amorose) che distinguono gli individui di questo presente di passaggio. Come si tiene “conto”, parola vibrante per quegli individui proiettati e misurati con l’unico generatore di valore simbolico che è il denaro e preteso sempre a più zeri? Come si tiene conto nella Organizzazione sindacale, a forte presenza maschile, di quel “come” le soggettività si rappresentano e vogliono essere rappresentate? Soggettività minoritarie le donne, gli omosessuali, le lesbiche, i transessuali che CGIL, mi pare ma posso tanto sbagliarmi, fatichi a censire dentro; e fuori.
La traduzione nella pratica, e nella pratica sindacale, a cui Eleonora Pinzuti richiamava attenzione è ciò a cui bisogna dedicarsi, immediatamente, e senza divaricazione tra momento teorico e pratico. Diversamente si rischia di confermare quell’immaginario che vede secondarie, accessorie, talvolta inutili “cose da femmine” gli studi accennati e le pratiche in essi evocate ieri sera.
Senza iato, senza scissione tra il momento teorico di ricerca e di studio, di dialogo e di conflitto e il momento pratico che pertiene alle funzioni sindacali, si può inaugurare un processo autenticamente politico necessario per abitare quei cambiamenti a cui Susanna Camusso faceva riferimento.
“Parliamo troppo poco di libertà femminile” diceva Susanna Camusso, sollecitando a “nominare come si vuole essere”. La condizione di chi non sa o non può nominarsi e quindi idearsi nel desiderio, nella realizzazione del proprio demone e per ciò stesso della propria felicità, è la condizione della subalternità. È subalterna chi non ha la voce, colei che oltre ad essere privata della possibilità di esprimersi nel logos, è anche deprivata della corporeità propria che l’unicità della voce contiene e rimanda.
E se il nominarsi, forse si osserva anche nella organizzazione sindacale come negli altrove in cui le donne si esprimono professionalmente, avviene ancora nella formula tesa a gratificare colui che rimane – come scriveva Carla Lonzi in È già politica – l’interlocutore ambito, cioè l’uomo?
Se indichiamo le professioni con l’aggettivo “maschile” – la semplice aggettivazione veicola distruzione ricordava Pinzuti – non abbiamo forse confermato modello, pratiche, canone e destini?
Se nominare è necessario ma non sufficiente, ancora più urgente e irrinunciabile è “avvertire”, come ripeteva in più momenti del suo discorso Eleonora Pinzuti.
Avvertire il linguaggio è sentire le parole, riconoscere a partire dal corpo situato, riceverle per la potenza e i poteri che trattengono e allo stesso tempo è muoversi verso l’altra per concederle, nello spazio imprescindibile della relazione, che senta e avverta addosso il linguaggio del suo dirigente, del suo segretario generale, del suo compagno. Avvertire il linguaggio è presidiare la libertà delle donne.
Esprimo, quindi, il mio grazie a Serena Sorrentino, a Eleonora Pinzuti e a Susanna Camusso per le riflessioni mosse ieri sera; apriamo aggiornamento per il prossimo martedì, da qui, da Lecce, in continuità con Io dentro Io fuori che ha risuonato in Respect.

Lecce, 27 nov. 19 Graziella Lupo Pendinelli